A C O N V E R S AT I O N W I T H E I N S T E I N 5 4 3
tuali, avvengono sempre, quasi miracolosamente, nei momenti più politicamente e social-
mente agitati.
— Crede lei che la sua teoria, tradotta in termini filosofici, morali, politici, pratici possa
e debba avere un’influenza sulla soluzione dei problemi più angosciosi che ci travagliano
oggi; possa affrettare la trasformazione del mondo che noi sentiamo oscuramente venire,
che noi già soffriamo, anzi, secondo alcuni; possa precipitare o risolvere la crisi della nostra
civiltà?
— La mia teoria — risponde Einstein — non ha nessuna intenzione di questo genere,
almeno nella mia mente. Sono estraneo in modo assoluto alle applicazioni che se ne fanno,
e alle illusioni che anche in Italia se ne fan discendere. Si dice che la mia dottrina è antira-
zionalista, mentre io credo di essere un perfetto razionalista. Ho seguito la linea razionalista
direttamente; non l’ho spezzata, come alcuni pretendono. Io proseguo Newton, non lo
annullo. La mia teoria non può avere, quindi, una portata poetica che per equivoco, che ser-
vendo senza mia intenzione o mia colpa, agli equivoci che le si intrecciano intorno e a cui
la si vuol costringere. Non parliamo poi degli interessi o dei principi politici cui vorrebbe
collegarla. Poichè è noto che io sono pacifista, internazionalista, ebreo, si è detto e si dice
che la mia dottrina è essenzialmente rivoluzionaria e socialmente pericolosa. Affermo che,
come io non rivoluziono nulla nel campo della scienza, perchè derivo coerentemente dal
passato, così non solo non rivoluziono nel campo politico sociale, in cui non entro neppure,
e se rispondo ai dubbi leciti e alle questioni strettamente scientifiche che i miei studi pos-
sono sollevare, mi rifiuto di polemizzare sul mio preteso rivoluzionarismo pratico.
L’allusione alle polemiche tedesche e al pacifismo mi spingono a parlare con Einstein
della guerra e della pace.
— Io credo nella pace — afferma Einstein — con la sua lenta pacatezza, ma con un ba-
gliore nei grandi occhi stanchi e velati di sogno — perchè la pace deve essere e sarà. Non
perchè i ritrovati tecnici, sempre più spaventevoli, la renderanno impossibile. Per questo la-
to, abbiamo potuto constatarlo, malgrado tante speranze e illusioni, la guerra sarebbe sem-
pre possibile. Il mondo non sembra temere neppure la più estrema e catastrofica inumanità
e micidialità della guerra. Piuttosto, noi tutti abbiamo dovuto convincerci, e ci convincere-
mo sempre più, che la guerra economicamente non rende ed è perciò economicamente
impossibile. Cominciamo a comprendere, finalmente, che noi siamo tutti in solido interes-
sati a che la guerra non venga più. Dipendiamo, in questo campo, sempre più strettamente
gli uni dagli altri e la guerra, invece di giovare all’uno o all’altro, non serve che isterilire
tutti allo stesso modo ed isolarci in una terribile miseria. La guerra rendeva ed era possibile
finchè era in vigore il regime della schiavitù e quando il vincitore poteva effettivamente
occupare il suolo nemico e distruggere letteralmente la popolazione. Abolita la schiavitù,
la guerra è stata resa inutile e quindi dovrebbe apparire non solo impossibile, ma inconce-
pibile. A proposito di disastri economici, un mio amico olandese mi diceva che le colonie
olandesi producevano e producono un thè dei più squisiti che era venduto in tutto il mondo.
Oggi gli olandesi, per la grande catastrofe condotta dai cambi, non possono più vendere
questo thè e se ne servono per concimare la terra. Moltiplichiamo questo esempio per altri
centomila esempi consimili e avremo il quadro spaventoso dell’insolvibilità della guerra.
— Incominciano a capir questo in Germania?
— Sì, incominciano. La Germania incomincia ora a studiare economia e politica. È, in
politica, come la fanciulla che si schiude alla comprensione della vita e dell’amore. Ma se