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persiste ancora, in certi ceti e in certe caste tedesche, non dirò il vecchio pangermanismo,
ma un nazionalismo esasperato e dolorante, un nazionalismo non rassegnato ancora, questo
è dovuto prima di tutto al Trattato di Versailles, poi alla continua serie di ultimati, di decreti,
di sentenze che l’Intesa impone a ripetizione in virtù del Trattato, e che inaspriscono la
ferita, e rinfocolano il sentimento nazionalista. Il Trattato di Versailles poteva essere crude-
le, ma . . . fino ad un certo punto. Credo, almeno, che avrebbe potuto esser crudele in mi-
glior maniera. Si può operare il paziente, ma bisogna operarlo una volta sola e poi bisogna
lasciarlo stare perchè si calmi, se non perchè si riabbia del tutto. La pace è minacciata in
Germania dall’ “offesa a continuazione” che l’Intesa ha la possibilità di lanciarle ad ogni
momento, ad ogni occasione. La spartizione dei territori, specialmente di quelli della Prus-
sia orientale, è stata una di quelle offese a continuazione che io deploro di più, appunto per-
chè le credo più nocive alla causa della pace.
— E della pace interna in Germania? C’è chi crede che la crisi economica e monetaria
porterà ad una rivoluzione nuova . . .
— Non lo credo possibile. Il paese lavora quanto può, quanto l’Intesa gli consente di
lavorare. Le classi operaie sono disagiatissime, ma calme. Per esempio, è per me da esclu-
dersi un esperimento bolscevico. Dove si è avuto un esperimento bolscevico, come in
Baviera, le velleità di reazione hanno ripreso consistenza. Se fossero da pensarsi probabili
dei movimenti interni ammetterei più possibile un movimento reazionario, kappista, che un
movimento bolscevico. Ricordatevi che la Germania ha il senso, ormai, delle possibilità,
comprende, ormai, quello che è realizzabile e quello che non lo è, torno a ripetere, che an-
che dal punto di vista internazionale, i tedeschi si orienterebbero gradatamente verso un’as-
soluta e imperativa idea di pace se, quasi ogni giorno, un atto dell’Intesa non li respingesse
contro il muro del loro nazionalismo offeso. Vi sono nel Trattato di pace delle sanzioni e
delle pressioni che, anche per confidenze avute da qualcuno che partecipa ai Concili inter-
nazionali dell’Intesa, ha motivo di ritenere risultino o inapplicabili o dannose per l’Intesa
stessa. Bisogna che i politici responsabili e il gran pubblico acquistino sempre maggior
coscienza dell’impossibilità e dell’inapplicabilità di certi provvedimenti e si propaghi con
tutti i mezzi questa coscienza in tutto il mondo.
— Ella aderisce, non è vero? all’Associazione per la Lega delle Nazioni?
— Aderisco totalmente senza essere ascritto a nessuna Società. E non nascondo, a que-
sto proposito, il mio pensiero. Bisogna far propaganda per la pacificazione immediata e per
la pace definitiva. Io non voglio parlare dei mezzi che si dovrebbero escogitare all’uopo,
sono cittadino svizzero e debbo essere un po’ . . . neutrale, ma, ad esempio, credo che il più
gran servizio alla pace lo potrebbe rendere la stampa, la stampa che invece, troppo spesso,
rende servizio alla guerra o alla esasperazione politica degli animi. Se la stampa di tutti i
paesi fosse accumunata in un programma di pace, la nostra idealità di concordia, di fratel-
lanza, di compartecipazione universale dei beni del mondo, farebbe un passo innanzi deci-
sivo sulla via della realizzazione.
Domando, per finire, ad Alberto Einstein, se egli continuerà i suoi viaggi o rientrerà nel-
la calma dei suoi studi ed egli affronta allora un argomento che gli sta evidentemente molto
a cuore: il Sionismo.
— Sapete che sulle prime ho intrapreso i miei viaggi e specialmente quello d’America,
non per illustrare la teoria della relatività, ma per far cosa utile al movimento sionista. Io
sono sionista e ho voluto lavorare, sopratutto, per trovar fondi ed appoggi per l’università